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Straordinaria ventura quella di Araldo
di Crollalanza, non si sa se più per gli oltre sette
decenni della sua intensa militanza politica e per l'oltre mezzo
secolo di mandato parlamentare sempre puntualmente osservato
o per la concordia fra avversari ed amici nell'estimazione della
sua figura e della sua opera. Ma, soprattutto, una singolarità
lo distingue in assoluto: aver legato il proprio nome ad una
serie imponente di realizzazioni infrastrutturali come nessun
altro ha mai potuto vantare dall'unità d'Italia ad oggi.
Se il suo cammino accompagnò senza soluzione di continuità
la storia patria dalla vigilia del primo conflitto mondiale
alla metà degli anni Ottanta (testimoniando costantemente
accanto alla più limpida coerenza delle idee una dignità
esemplare, accanto all'intelligenza dei problemi organizzativi
e tecnici la passione per gli aspetti sociali), un provvido
realismo non gli fece mai perdere il contatto con l'evolvere
dei bisogni, delle attese e della possibilità di corrispondervi
equilibratamente nelle diverse situazioni.
Nella sua biografia risultano due periodi pressappoco di eguale
lunghezza: il 1914-1943, caratterizzato dallo sforzo di edificazione
di "un'Italia nuova", e il 1953-1986, in cui cercò
di affermare i propri ideali nelle sopraggiunte condizioni democratiche.
Nato a Bari i1 19 marzo 1892 da antica famiglia valtellinese,
coltivò giovanissimo simpatie mazziniane. Nel 1914, acceso
interventista, fondò nella sua città il "Fascio
di azione rivoluzionaria". Nel 1915 si arruolò volontario
in un battaglione garibaldino e partecipò alla presa
del Col di Lana. Successivamente, col grado di tenente di Fanteria,
partecipò alla conquista di Gorizia e nel 1917 rimase
ferito in battaglia. Il 23 marzo 1919 intervenne alla riunione
di piazza S. Sepolcro. Pur non potendo partecipare all'impresa
fiumana, ne fu fervente sostenitore ed ebbe, fra l'altro, un
fitto scambio epistolare con D'Annunzio. Segretario regionale
dei Fasci di combattimento in Puglia e Lucania, nel fascismo
locale si caricò delle istanze di rappresentanza del
ceto medio a fronte della linea "agraria" di Caradonna.
Smenten-do chi voleva ridurre il fascismo a "guardia bianca"
del capitale, sposò dagli inizi e so-stenne fino in fondo
la causa del sindacalismo in nome di un autentico rinnovamento
sociale. Ben presto la carriera politica ne premiò il
riconoscimento delle qualità. Nel 1926 è podestà
di Bari; lo rimarrà fin al 1928. Ma la statura raggiunta
lo destina ormai a responsabilità di livello centrale.
Deputato gia dal 1924, nel 1928 viene nominato sottosegretario
ai Lavori pubblici retti direttamente da Mussolini e nel 1930,
trentottenne, lo sostituisce quale ministro. In questa veste
dispiegherà un'attività vastissima, nell'ambito
dell'impulso del regime allo sviluppo delle grandi opere, segnandola
dei suoi valori personali di abnegazione, competenza, capacità
di decisione. Al suo fervido impegno si debbono, nel capoluogo
pugliese, la Fiera del Levante, l'Università, il politecnico,
il porto, il lungomare. In campo nazionale, la creazione dell'ANAS,
il nuovo codice della circolazione, l'ammodernamen-to della
rete stradale, la "direttissima" ferroviaria Firenze-Bologna,
il ponte automobilistico Venezia-Mestre, la ricostruzione in
Campania e Basilicata dopo il terremoto del 1930, l'appoderamento
dell'Agro Pontino, l'ampliamento urbanistico ed edilizio di
Littoria, la costruzione di Aprilia e di Pomezia, le prime grandi
trasformazioni fondiarie ed agricole del Tavoliere e del Basso
Volturno, nonché importanti iniziative di colonizzazione
nell'Africa orientale italiana.
Una simile mole di risultati, si badi, fu da lui raccolta in
appena cinque anni. Infatti nel 1935 gli giunse l'esonero in
obbedienza al principio della "rotazione delle cariche".
Per l'occasione, ricevette da Mussolini una lettera altamente
elogiativa che proclamava il suo "il periodo aureo dell'attività
statale in materia di opere pubbliche". Crollalanza venne
allora nominato presidente dell'Opera nazionale combattenti,
e vi rimase fino a11943. Continuava nel frattempo ad essere
membro della Camera dei Deputati, rieletto nel 1929 e nel 1934,
per divenire nel 1939 componente della Camera dei Fasci e delle
Corporazioni, dove presiedette la commissione Lavori pubblici.
Alla nascita della Repubblica sociale, non esitò ad aderirvi.
Declinando l'offerta di incarichi governativi, assunse l'incarico
di commissario straordinario per la Camera e per il Senato.
Sciolto quest'ultimo, impossibilitata la prima a svolgere attività
istituzionale, ci si limitò ad attività di ricerca
comparata e di documentazione in vista di una futura costituente.
Con l'avvento della democrazia, Crollalanza venne arrestato,
ma rilasciato pochi giorni dopo per essere, nel 1950, definitivamente
prosciolto da ogni addebito. Le traversie lo avevano provato,
ma non ne avevano fiaccato lo spirito. Così, appena tre
anni dopo, lo troviamo senatore per il collegio di Bari nella
seconda legislatura Repubblicana, eletto da indipendente nelle
liste del Movimento sociale. Da allora sarà costantemente
rieletto, ancora da indipendente, nel 1958, nel 1963, nel 1968.
Dal 1972 in avanti, e cioè anche nel 1976, nel 1979 e
nel 1983, sarà eletto non più come indipendente
e diverrà prima vicepresidente e poi presidente dei gruppo
senatoriale del Msi. Per lo stesso Msi, inoltre, dal 1956 al
1976, fu capogruppo al consiglio comunale barese. Sempre si
comportò, in condizioni spesso ostiche, con saggezza
ed energia, imponendo la nobiltà della sua battaglia
di opposizione.
Due questioni ne attrassero l'azione al Senato: il meridionalismo
e la politica dei lavori pubblici. In merito, si distinse per
la concretezza delle proposte, per molti aspetti ancora attuali,
non meno che per l'accortezza delle analisi. Criticò
fortemente la Cassa per il Mezzogiorno mostrandone le insufficienze
e gli sprechi e combatté gli assistenzialismi, fonte
di clientelismo e di corruzione, caldeggiando per il nostro
Sud una strategia di largo respiro atta a predisporlo a svolgere
un ruolo mediterraneo, di ponte naturale verso 1'Oriente. Via
via, peraltro, si spinse a trattare anche argomenti più
propriamente politici. Notevoli al riguardo le denunce dei danni
del regionalismo e la condanna della partitocrazia dilagante.
La morte lo colse a Roma il 18 gennaio 1986. Nel 1982 aveva
ricevuta, e assai gradita, una medaglia d'oro dal Senato per
la lunga vita parlamentare. Fu rimpianto da esponenti di ogni
versante politico. Per i suoi meriti oggettivi, ed anche perché
in qualsiasi circostanza egli aveva mantenuto lo stile di chi
rifugge dalle faziosità e si attira il rispetto di tutti
in quanto, pur schierandosi senza riserve, si colloca su una
dimensione che appare, in una certa maniera, super partes. Proverbiale
rimane la sua integrità, manifestata con scrupolo di
costume antico. Fu l'unico ministro che, terminata l'esecuzione
di un progetto, restituisse allo Stato una quota degli stanziamenti
risultante in avanzo grazie ai risparmi ottenuti in corso d'opera.
Guardando a tale suo profilo, Mussolini parlò a De Begnac,
che ce ne dà resoconto nei Taccuini, di "rigore
metodista". Nella ricchezza della sua applicazione operosa
va annoverato il lavoro giornalistico. A Bari diresse fin dal
1919 il settimanale "Adunata" e fu corrispondente
del "Popolo d'Italia". Nel 1927 entrò nel direttorio
del sindacato nazionale giornalisti assumendone la segreteria
per la Puglia e la Lucania. Fu tra i fondatori dell'Istituto
di previdenza per i giornalisti. A partire dagli anni Cinquanta
sedette a lungo fra i probiviri dell'Associazione della stampa
romana e presiedette l'Unione nazionale giornalisti anziani
e pensionati.
Il suo primo titolo d'onore, comunque, è il lavoro ministeriale.
"Fu un grande ministro dei lavori pubblici" scrisse
di lui il socialdemocratico Giuseppe Romita, che tenne quel
dicastero nel secondo dopoguerra. E Carlo Scognamiglio, presentando
nella veste di presidente del Senato i due volumi della raccolta
ufficiale dei suoi discorsi, lo definì "gentiluomo
dedito alla politica, realizzatore competente". Ricordandone
i benefici giustamente ricevuti, la medesima Bari lo ha onorato
anni fa, ancora in epoca di damnatio memoriae per i protagonisti
del Ventennio, intestandogli una via. Per gli italiani di oggi,
adusi a modelli agli antipodi del suo, il richiamo a Crollalanza
non dovrebbe valere soltanto come ricordo dell'esponente forse
più indiscusso di una classe dirigente per la quale il
senso dello Stato e il bene comune costituivano il riferimento
supremo, una specie d'uomini di cui sembra purtroppo perso lo
stampo. E' da auspicare che sia stimolo potente a guardare oltre
le miserie attuali, a non scoraggiarsi, a non darla vinta ai
disgregatori della nazione, per puntare a dar corpo al sogno
condivisibile che egli ci ha affidato in uno degli ultimi interventi
parlamentari: "un'Italia forte, giusta, di avanzatissima
socialità e progresso civile, rispettata nel mondo come
parte integrante ed efficiente dell'unita europea".
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Gianfranco Legitimo
(Percorsi, dicembre 1998)
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