"Bontà loro, anche molti avversari
mi vogliono bene". Sì, Araldo di Crollalanza è
stato uno di quei rari, rarissimi personaggi politici italiani
che riescono a essere amati e stimati da tutti, amici e avversari.
Non è facile per un politico godere di buona stampa
in Italia, non è facile soprattutto se si vive novantaquattr'anni,
tanti ne aveva Crollalanza, se si ha la ventura come la ebbe
lui di attraversare due regimi, l'uno negazione dell'altro.
Il "segreto" della stima e della considerazione
per Araldo di Crollalanza è svelato dalla sua biografia.
Basta scorrere sia pure rapidamente la sua vicenda politica
da lui stesso riassunta e affidata all'editore della Navicella,
il libro che in poche righe condensa le vite dei senatori
e dei deputati della nostra Repubblica, per accorgersi che
la vita di Crollalanza è stata un succedersi di realizzazioni,
di opere pubbliche, di cose fatte più che di discorsi
o di cariche rivestite.
Già come podestà di Bari, sua città natale
e centro di numerose sue realizzazioni, Crollalanza contribuì
a istituire la Fiera del Levante, l'università e un
numero cospicuo di opere pubbliche, tra le quali il moderno
politecnico e il bellissimo lungomare, nonché le importanti
opere di difesa della città da quelle alluvioni che
periodicamente la investivano. A lui si deve pure la costruzione
di un grande porto e la istituzione di moderni servizi pubblici.
Negli anni successivi, fra il 1928 e il 1935, prima come sottosegretario
di Stato ai lavori pubblici e, dal '30, come ministro dello
stesso dicastero, Crollalanza fondò l'Azienda autonoma
delle strade italiane e sistemò la rete stradale nazionale.
Avviò e diresse la ricostruzione delle zone sconvolte
dal terremoto del Vulture, una tragedia che colpì oltre
cinquanta comuni della Campania, del Sannio, della Lucania
e del Subappennino pugliese.
Ricevette, per quanto da lui fatto, il plauso dell'Accademia
dei Lincei e un alto riconoscimento della Croce rossa.
Cessato l'incarico ministeriale nel '35, egli proseguì
con tenacia la sua opera di costruttore nel nuovo incarico
di presidente dell'Opera nazionale per i combattenti. Sviluppò
e portò a termine la trasformazione agraria e fondiaria
dell'Agro romano, la costruzione di Aprilia e di Pomezia nonché
la costruzione di migliaia di poderi e la loro assegnazione
in proprietà ai coloni in tutto l'immenso territorio
pontino romano. Ma non si esaurì qui quel suo spirito
davvero singolare di realizzatore. Sempre in questi anni,
dal '35 al '43, egli provvide alle prime grandi trasformazioni
fondiarie e agrarie nel Tavoliere delle Puglie e nel Basso
Volturno, alla bonifica integrale di una vasta zona della
Dalmazia, a imponenti opere di trasformazione agraria in Etiopia
e in Albania.
Dopo l'8 settembre '43 seguì Mussolini nella Repubblica
sociale. Di Mussolini fu non solo ministro ma amico fedele
fino alla fine. "Lo conobbi, s'immagini, nel 1919",
confidò al collega Gino Agnese in una intervista apparsa
su questo giornale il 6 giugno di quattro anni fa. "Un
giorno da Bari presi il treno e andai a Milano, in via Paolo
da Carrobbio, dove, dopo aver lasciato l' Avanti! aveva aperto
in due o tre camerette la redazione del Popolo d'Italia. C'erano
le fabbriche occupate e le ciminiere imbandierate di rosso.
Concordammo l'invio dei miei articoli e poi scendemmo per
andare dal barbiere. Strada facendo mi chiese: "Di' un
po', Araldo, ma se questo nostro movimento diventasse una
cosa seria e si ingrandisse e marciassimo su Roma il Mezzogiorno
come risponderebbe?" Pensi: tre anni prima del '22, già
aveva in testa tutto".
L'ultima volta che vide Mussolini fu sul Garda, dodici giorni
prima che fosse ucciso. "Aveva il colletto della camicia
che mi sembrò larghissimo e la giacca che gli cadeva
da dosso. Si alzò, mi mise una mano sulla spalla e
disse: "Siamo proprio alla fine, Crollalanza. Ma chissà,
forse c'è ancora uno spiraglio. Hitler mi ha detto
che se si riesce a contenere l'avanzata degli angloamericani,
nel giro di un mese o due la situazione potrebbe rovesciarsi
perché i tedeschi farebbero in tempo a disporre delle
bombe atomiche"".
Al termine della guerra, Crollalanza fu arrestato e processato.
Il giudice che doveva processarlo nel '45 (era il procuratore
generale della Repubblica a Venezia) lo accolse così:
"Signor Crollalanza, le dico subito che contro di lei
non risulta nulla di specifico.Lei deve rispondere soltanto
di "atti rilevanti": insomma, siccome è stato
un pezzo grosso, un processo glielo dobbiamo fare".
Naturalmente fu prosciolto in istruttoria. Ma la testimonianza
più significativa Crollalanza l'ebbe qualche anno dopo
in Senato quando il ministro dei Lavori pubblici della Repubblica,
dopo averlo cercato con gli occhi tra i senatori della destra,
disse: "Lei, Crollalanza, è stato un grande ministro!".
E nessuno dei parlamentari presenti contestò Romita.
Dopo essere stato un personaggio rilevante del ventennio fascista,
Crollalanza è stato anche un parlamentare esemplare
nel successivo regime democratico. È stato eletto senatore
per la prima volta nel 1953 nel collegio di Bari. Il mandato
gli è stato poi confermato per altre nove volte.
L'educazione ricevuta in famiglia - discendeva da un'antica
famiglia della Valtellina le cui origini risalgono alle Crociate
in Terra Santa - gli dettò norme di vita e di comportamento
che gli giovarono persino fisicamente. Erano divenute proverbiali
la sua efficienza fisica e la sua lucidità intellettuale.
Nessuno dei senatori era più mattiniero di lui benché
di tutti fosse il più vecchio. Cinque anni fa aveva
rinnovato la patente di guida. E fino a pochi mesi fa ha svolto
alla Camera alta interventi delicati e lunghi, stando in piedi
nel suo banco come impone il regolamento.
Eppure, nel dopoguerra, quando riprese la sua attività
giornalistica al Giornale d'Italia come redattore della redazione
provincie, egli era un accanito fumatore. "Fumavo allora
ottanta sigarette al giorno, e con un collega di valore, Vinicio
Raldi, ci dividevamo il tavolino e il posacenere".
Aveva amici, dicevamo, in tutti i gruppi politici, persino
fra i comunisti. Una sola volta fu offeso dalla faziosità
degli avversari. Fu all'inizio dell'ottava legislatura. Lui
doveva presiedere la seduta inaugurale del Senato come senatore
anziano. Ma, per evitare che sul seggio della presidenza salisse
un ex ministro di Mussolini, qualcuno convinse Nenni, che
era più anziano di Crollalanza di qualche mese, a farsi
condurre al Senato a braccia. E qualcun'altro, per strappare
Nenni al suo letto e alla sua casa, disse che si rischiava
di far presiedere la seduta a un uomo responsabile nel '21
della morte di Giuseppe Di Vagno.
"Che vergogna inventare una storia così infame!
Io il mandante di quell'omicidio? Ma se il più gran
dolore per me è stato proprio l'assassinio di Di Vagno!
Aveva studiato a Conversano, era comunista, e io ero fascista;
ma c'incontravamo tutte le mattine al caffè Stoppani.
Fu ucciso a Mola di Bari, il paese di mia madre. Gli esponenti
di un movimento operaio di Gioia del Colle lo fecero assassinare...
Eppoi anche il figlio di Di Vagno, che è deputato,
ha riconosciuto l'assurdità di quanto dissero a Nenni".
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